Giugno 2021

Da rivedere la normativa sulle società di comodo

Richiesta di intervento alla CONFAPI presso le Autorità Governative

La normativa sulle società di comodo, prevista dall’art. 30 della legge 724/94, è finalizzata a penalizzare le società che vengono costituite non per l’effettivo esercizio di un’attività d’impresa, ma per il mero godimento dei beni. Si presume quindi un’intestazione fittizia di beni alla società, come ad esempio immobili, auto di lusso o imbarcazioni, con un utilizzo diretto degli stessi a scopo di godimento personale. Per il legislatore tale comportamento è elusivo perché i beni vengono assoggettati ad un regime d’impresa, anche se in realtà permangono nella disponibilità dei soci o dei familiari.

Le società interessate riguardano in massima parte immobiliari di godimento che, soprattutto in passato, venivano costituite per facilitare i passaggi generazionali e sottrarre questi assets dal rischio di default.

La normativa sulle società di comodo è pensata per disincentivare la costituzione di società non operative, prevedendo diverse penalizzazioni, come ad esempio:

  • la presunzione di un reddito minimo, rilevante sia per l’imposizione diretta che per l’Irap, parametrato ai valori iscritti nell’attivo dello stato patrimoniale;
  • un limitato utilizzo dei crediti Iva eventualmente risultanti dalla dichiarazione;
  • una maggiorazione del 10,5% dell’aliquota Ires rispetto a quella ordinaria;
  • un limitato utilizzo delle perdite, eventuali perdite riferite ad esercizi precedenti lo stato di non operatività possono essere compensate solo con la parte di reddito eccedente quello minimo.

Dopo questo sintetico richiamo alla normativa sulle società di comodo, che in via di principio può essere anche condivisa, vediamo qual è la reale situazione soprattutto per il mondo delle piccole e medie imprese. Queste imprese, anche in vista del passaggio generazionale, si sono strutturate con modalità differenziate, ma la matrice maggiormente utilizzata prevede una società immobiliare nella quale far confluire tutti i fabbricati e una o più società operative che svolgono l’attività negli immobili presi in locazione dalla immobiliare. Le società operative pagano gli affitti alla immobiliare al fine di coprire i propri costi, quali finanziamenti e ammortamenti. Spesso a queste società viene delegata anche una minima attività amministrativa come ad esempio la tenuta della contabilità per le società operative, gestione assets immateriali, l’attività di promozione e di marketing.

Nelle scelte legate all’organizzazione societaria l’aspetto fiscale normalmente viene trascurato, perché quello che si vuole tutelare sono gli assets familiari, mentre normalmente ai figli vengono intestate le quote delle società operative, da qui si evidenzia l’interesse per i passaggi generazionali.

Negli ultimi anni, per la crisi economica prima e per la pandemia poi, le società operative o hanno chiesto una significativa riduzione dei canoni di locazione alla immobiliare o addirittura non hanno pagato alla stessa alcun canone. Circostanza che contraddice definitivamente l’idea che queste società non sono soggette al rischio d’impresa. La contrazione delle entrate ha fatto scivolare queste imprese nella normativa delle società di comodo con le conseguenti penalizzazioni sopra descritte. Precisazione resa ancora più paradossale se si considera che il legislatore richiede una redditività per gli immobili del 6%, condizione che in questo periodo non è raggiungibile.

Inoltre il valore degli immobili negli ultimi anni ha subito una forte contrazione che non viene rilevata nei bilanci. Situazione questa che in caso di vendita porta a registrare significative perdite non sempre recuperabili. Molte imprese però non si sono adeguate ai redditi minimi previsti dalla normativa e in questi mesi sono raggiunte da avvisi di accertamento dell’amministrazione finanziaria. Si sottolinea che la scelta di gestire due o più società in luogo di una unica, dal punto di vista fiscale non porta dei vantaggi, anzi il più delle volte il carico fiscale complessivo è maggiore; ma la scelta, come già ricordato, non è legata al raggiungimento di un risparmio fiscale, ma alla tutela del patrimonio familiare e per raggiungere questo obiettivo gli aspetti tributari sono messi in secondo piano.

Il fatto poi che qualche personaggio famoso approfittato delle norme per intestare a società imbarcazioni milionarie utilizzate in via esclusiva per fini personali, non può essere un pretesto per penalizzare le scelte imprenditoriali e piegarle a dinamiche rigoriste estranee alle loro realtà.

Dal quadro descritto si può capire che l’assetto delle immobiliari nel settore manifatturiero ha una giustificazione economica che il legislatore dovrebbe tutelare e non derubricare come scelte elusive finalizzate all’ottenimento di un vantaggio fiscale che non c’è.

Per conservare il tessuto delle piccole e medie imprese, asse portante del sistema industriale del nostro Paese, sarebbe auspicabile un intervento nelle sedi istituzionali governative per la cancellazione della normativa sulle società di comodo o, in subordine, per una loro significativa modificazione al fine di tutelare le situazioni sopra descritte.

Più urgente, invece, sarebbe l’intervento sugli avvisi di accertamento in corso di notifica chiedendo che siano date indicazioni agli uffici periferici dell’amministrazione finanziaria per procedere alla loro chiusura in sede di accertamento con adesione.


Udine, 7 giugno 2021